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Incontro con Paul Verhoeven al Festival di Roma

11/11/2012 | News
Incontro con Paul Verhoeven al Festival di Roma

In occasione dell’applaudita proiezione in anteprima mondiale del mediometraggio Steekspel di Paul Verhoeven, primo esempio di operazione sperimentale di “film partecipato”, il regista ha incontrato pubblico e critica al Festival del Film di Roma. La storia è quella di un ricco architetto, infedele fino al midollo, che nel giorno del suo cinquantesimo compleanno vede prendere il via una giostra di rivelazioni che lo metteranno a dura prova. Attraverso i social network, il pubblico degli internauti ha determinato lo sviluppo della storia del film, di cui sono stati scritti inizialmente solo i primi 4 minuti, e contribuito alla scrittura dei dialoghi.

Verhoeven ha raccontato questa sua nuova esperienza:
“Il produttore del film mi è venuto a cercare a Los Angeles e mi ha spiegato cosa voleva. Voleva che realizzassi un film basato su quello che il pubblico avrebbe voluto scrivere. Abbiamo scritto alcuni minuti dei 52 complessivi e poi il pubblico tramite internet ha scritto quello che avrebbe voluto come seguito della storia. Tutto ciò che veniva dal pubblico sarebbe stato vagliato da me e dal mio co-autore”.

Come ha fatto a filtrare questa mole di spunti eterogenei?
Verhoeven: “E’ stato orribile! Ho ricevuto solo per la seconda scena circa 700 sceneggiature ognuna di 4 o 5 pagine! Io pensavo che magari 2 o 3 sceneggiature sarebbero state eccellenti e che avrei magari unito due sceneggiature. Invece non è andata così. Dopo aver letto tutte le sceneggiature, ho trovato pezzi che provenivano da 50 storie diverse e la spinta è stata di trovare un modo di  assemblarle. Abbiamo dovuto “collazionare” tutti questi pezzi. Sono stato contento, è stata una situazione in cui mi sono sentito ringiovanito, dovevo seguire il flusso, è stata una grande ispirazione, non avevo niente da perdere. Ho sentito che per essere creativi bisogna anche fare un passo nell’ignoto”.

Lei crede che il pubblico abbia seguito qualche indicazione sapendo che lei avrebbe diretto il tutto e che si sia in qualche modo fatto influenzare dai suoi precedenti film?
Verhoeven: “Si, certamente alcuni hanno tentato di copiare un po’ i miei film ma altri sono andati più liberi. C’è stato qualcuno per esempio che ha trasformato ogni scena in una scena sadomaso facendosi influenzare dalla moda del best seller “Cinquanta sfumature di grigio”.

Al momento di girare i primi quattro minuti nessuno degli attori sapeva la continuazione della storia e non erano neanche sicuri che sarebbero stati scelti. E’ vero?
E’ intervenuto l’attore protagonista Peter Blok: “Io sapevo che ero il padre del bambino che Nadja uno dei personaggi aspetta, ma non sapevo il resto della storia. E’ stato divertente in qualche modo perché ti lasci trasportare dalla corrente. La motivazione più grande era vedere Paul contento”.   

Trovarsi di fronte all’ignoto è una condizione necessaria per la creatività. Lei ha spesso cambiato genere e continente. E’ curioso che lei venga dal “territorio” della matematica dove ci si muove tra le certezze. Come ha sentito l’ignoto come condizione?
Verhoeven: “Sento che se non sai dove vai diventi creativo, devi avere paura delle cose, se ti senti troppo sicuro non è la condizione migliore. Lavorare in questo modo mi ha messo su un’altra pista, su un’altra strada, e spero di poterlo rifare. C’era molta improvvisazione e questo mi ha permesso grande libertà. In questo momento della mia vita è stato fantastico”.

Ha avuto qualche dubbio che questo modo di lavorare non potesse funzionare e nel caso negativo, avevate un piano B?
Verhoeven: “No, non c’era un piano B, ma nessuno della produzione lo pensava necessario, strutturare è difficile e fare in modo che dopo 50 minuti il film fosse finito non è facile. Chi scriveva non vedeva mai la fine del film. Allora abbiamo incontrato tutti gli scrittori e ho spiegato che bisognava cominciare a pensare anche alla fine del film”.

Se qualcuno le dicesse che in quasi tutti i suoi film c’era qualcosa di minaccioso, eccitante ma anche pericoloso, lei cosa direbbe?
Verhoeven: “Certo si, ma molto di questo viene da grandi maestri come Hitchcock. Se tieni il tuo interesse vivo, devi violare le regole, qui c’è molta ambiguità, è tutto piacevolmente amorale”.

Una domanda sul tipo di prodotto che avete realizzato. Voi non vendete il film all’estero ma l’idea del film, vendete i diritti del brevetto di come il film è fatto, l’idea è quella di vendere un “format” con l’idea che venga declinata in maniera nazionale?
Verhoeven: “Io non faccio niente di tutto ciò, lo fanno i produttori e distributori seduti lì, i commenti li possono fare loro”.
Uno dei produttori ha spiegato meglio l’idea: “Abbiamo fatto questo esperimento per l’Olanda e abbiamo scelto il miglior regista olandese. Il concept è più grande di quello che vedete, si lavora in collaborazione col pubblico. Paul ha detto che si stava reinventando questo progetto, l’idea è di far assumere ai registi la parte di Paul e di cercare di produrre una serie di film”.

Ha visto il remake realizzato di recente di Total Recall? E cosa pensa di quello di Robocop che è in fase di realizzazione?
Verhoeven: “Si, Total Recall l’ho visto e credo che non abbia funzionato molto bene perché si è preso troppo sul serio. Arnold (Schwarzenegger n.d.r.) e io abbiamo avuto in compenso recensioni migliori ora piuttosto che allora all’uscita del film! Sul remake di Robocop non lo so, ma mi sembra che abbiano tolto molta leggerezza e ironia che c’era nel mio film”.

Mentre raccoglieva le idee della rete, cosa l’ha stupita di più? Ritiene che le idee di sceneggiatura siano uno specchio di come è cambiata oggi la società olandese?
Verhoeven: “No, veramente no. Ho individuato lo stile con i primi 4 minuti scritti dalla mia sceneggiatrice Kim van Kooten, era chiaro dal suo stile che tipo di film sarebbe stato. Io ho cercato quanto più possibile di seguire lo stile di Kim. Era essenziale che la leggerezza, l’ambiguità e l’atteggiamento amorale continuasse anche dopo le prime 4 pagine di sceneggiatura”.

Ritiene ancora primario il ruolo dell’autore nell’era di internet?
Verhoeven: “Si, chiaramente perché senza autore (in questo caso la mia sceneggiatrice) non ci sarebbe stato il film. La scrittura come professione è quello che conta. Nel caso di Steekspel sicuramente è venuto tutto dal pubblico ma non basta, ci deve essere sempre qualcos’altro. E’ interessante che tantissime idee come per esempio alcuni dettagli della scenografia siano venute dal pubblico ma ci deve sempre qualcuno che riesce a organizzare il flusso incontrollato di idee”.

Ci può dire qualcosa sul suo nuovo progetto cinematografico tratto da un suo libro su Gesù Cristo e che differenza c’è tra il libro e la pellicola?
Verhoeven: “Il libro ha un’idea di base, è un libro fondamentalmente educativo ed è la bozza su cui io e un primo sceneggiatore abbiamo lavorato. Ma il lavoro non andava e abbiamo dovuto trovare un nuovo sceneggiatore. Ma è molto pericoloso: qualsiasi cosa si dica su Gesù e il cristianesimo negli Stati Uniti è un tema pericoloso. Lì hanno un sacco di armi e io a volte ho un po’ di paura. Dovrebbe essere più un film europeo, forse per avere maggiore libertà.

Elena Bartoni

 


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